Arrivano i piemontesi

Dall’annessione al Piemonte alla fine del Settecento

Con il trattato di Worms (13 settembre 1743) l’imperatrice Maria Teresa d’Austria cedette il vogherese, l’Oltrepò, e Bobbio, con il suo contado, al re di Sardegna Carlo Emanuele III. Tale cessione fu confermata dal trattato di Aquisgrana nel 1748. L’assetto stabilito ad Aquisgrana si mantenne fino alla rivoluzione francese. Negli anni intercorsi tra il trattato di Worms e la pace di Aquisgrana vi furono movimenti di soldati appartenenti alle due fazioni in lotta. Queste milizie ed ancor più le bande di irregolari al seguito degli eserciti non erano ben viste in Oltrepò. In particolare truppe composte da soldati di origine slava, inquadrati nell’esercito austriaco, saccheggiarono e bruciarono casolari isolati ed anche interi villaggi. Molte famiglie si ritrovarono senza casa e senza mezzi di sostentamento, finendo per vivere di espedienti. Per questo motivo l’avvicinarsi di truppe, sia piemontesi che austriache, era visto con sospetto ed apprensione. La giurisdizione di Fortunago quale entità amministrativa e territoriale venne conservata, come si può rilevare dagli atti notarili rogati fino al 1771 dai notai fortunaghesi, ed entrò a far parte della provincia di Voghera. Nel 1770 la provincia di Voghera fu suddivisa in quattro “tappe” a cui facevano capo: Voghera stessa, Broni, Bobbio, e Varzi. Nella tappa di Varzi era compreso anche Fortunago. Inizialmente questo nuovo assetto territoriale non fu gradito in quanto vennero interrotti i tradizionali rapporti con la città di Pavia, che per secoli aveva costituito il centro feudale ed amministrativo del territorio oltrepadano. Una delle prime preoccupazioni del regno sabaudo fu quella di stabilire un criterio per la ripartizione delle tasse. A tale scopo vennero acquisiti i ruoli catastali fatti compilare da Maria Teresa D’Austria e, nel mese di aprile del 1744, furono convocati a Voghera tutti i proprietari di beni immobili dell’Oltrepò. Come si vede l’inizio non era promettente, tuttavia il nuovo sovrano mirava a favorire l’integrazione dei territori oltrepadani. In quest’ottica vanno interpretate alcune misure che interessavano soprattutto le popolazioni rurali: una seppur temporanea diminuzione delle imposte, la diminuzione dei prezzi di alcuni generi di monopolio ed una serie di interventi protezionistici volti a salvaguardare i mercati oltrepadani. Nella seconda metà del Settecento l’Oltrepò godette di un periodo di pace, questo, unitamente alle agevolazioni fiscali che il governo piemontese aveva accordato alle zone di recente annessione, contribuì a migliorarne le condizioni di vita. Tali misure però probabilmente favorirono più che altro la zona vogherese, se si considera l’arretratezza dell’economia agricola della collina. Risale probabilmente a questo periodo la diffusione dei torchi da vino e da olio, in quanto all’epoca si produceva olio di noci utilizzato per l’illuminazione. Il vino era uno dei pochi generi alimentari che venivano commercializzati ed era molto richiesto nel milanese; il suo trasporto, ed in generale tutto il commercio, era tuttavia ostacolato dai pedaggi, dalle dogane, dal banditismo, ma soprattutto dalle cattive condizioni delle strade. Tutti questi fattori rendevano i trasporti lenti, costosi ed anche pericolosi. In una relazione del 1753 si trova scritto che le condizioni delle strade nell’alta collina e in montagna erano disastrose, persino quella che conduceva a Bobbio era “sassosa, difficile, non carreggiabile“, si può immaginare, quindi, lo stato in cui versavano le vie di comunicazione di minore importanza, alcune delle quali nei mesi invernali erano difficilmente percorribili anche a cavallo.

Si andò espandendo il fenomeno del contrabbando che in Oltrepò assunse dimensioni considerevoli; trattandosi di una pratica illecita non si hanno dati precisi relativi alla giurisdizione di Fortunago, tuttavia autori ottocenteschi scrissero che nei comuni di Fortunago e Ruino questa pratica era da tempo diffusa. La localizzazione di questi abitati induce a pensare che esso si rivolgesse verso il vicino ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, come del resto avveniva per altri centri dell’alta collina e montani. Il confine fra i due stati corrispondeva all’incirca all’attuale divisione fra le province di Pavia e di Piacenza, Ruino era posto quindi in prossimità del confine stesso e Fortunago distava in linea d’aria circa otto chilometri.

I Savoia vollero ridurre i privilegi ancora goduti dai feudatari e dal clero. In data 13 ottobre 1752, fu ordinata la consegna dei rispettivi diritti feudali a tutti i feudatari dei nuovi territori annessi agli stati sardi. Facevano eccezione quei feudi che erano stati concessi dal sovrano quale ricompensa per i servizi resi alla corona, il feudo di Fortunago era stato acquistato duecento anni prima da Cesare Malaspina dietro pagamento di una somma di denaro e quindi non rientrava in questa categoria. La giurisdizione, che comprendeva, lo ricordiamo, la valle di Mormorola, Staghiglione, Stefanago, Rocca Susella, Gravanago, Monte Picco con S. Eusebio e Ponticelli, fu consegnata l’anno successivo, nel 1753. Alla famiglia Malaspina rimasero solo i beni allodiali, ovvero case e terreni di proprietà privata. La restituzione dei terreni soggetti a vincoli feudali al demanio costituì un fatto positivo per la popolazione locale che poté usufruirne gratuitamente; anche se per lo più si trattava di terreni poco produttivi la loro estensione non era trascurabile; essendo pari a un decimo della superficie complessiva del comune di Fortunago. Per tutto il secolo XVIII i Malaspina continuarono a fregiarsi del titolo di marchese, ed il titolo nobiliare compare sempre negli atti notarili che li riguardano, così come negli atti notarili rogati intorno al 1770 viene citata la: “Giurisdizione di Fortunago feudo Malaspina”, tuttavia si può ragionevolmente ritenere, in base a quanto esposto, che ormai il titolo avesse un carattere puramente onorifico. Nel 1795 venne introdotto il sistema decimale di pesi, misure e monete; questa disposizione legislativa ebbe, riteniamo, uno scarso effetto pratico, almeno per quel che riguarda gli anni a cavallo del 1800. La popolazione dei nostri luoghi continuò ad utilizzare le vecchie unità in uso da secoli per vari motivi: in primo luogo l’analfabetismo, ancora molto diffuso fra la popolazione rurale, non agevolava la comprensione dei vantaggi legati all’utilizzo del sistema decimale, inoltre l’instabilità politica, legata alla guerra con la Francia, ostacolava la diffusione delle nuove unità; passarono quindi decenni prima che la popolazione si abituasse ad utilizzarle. Alcune unità di vecchio tipo rimasero nell’uso pratico fino al 1900: basti pensare all’emina che serviva per la misura dei cereali, alla brenta utilizzata nel commercio dei vini, ed alla pertica utilizzata nella pratica del commercio per la stima del valore dei terreni agricoli.

Luigi Elefanti

Carta della provincia di Voghera. Istituita dopo il trattato di Aquisgrana (1848), comprendeva l’Oltrepò, il Bobbiese e parte della attuale provincia di Alessandria

Fortunago, la Chiesa Parrocchiale

Fortunago, l’Oratorio di S. Antonio