Fatti e misfatti, secc. XVI – XVII

Nella bassa valle Ardivestra spadroneggiava, fin dal 1550, un gruppo di malfattori che si dedicava con profitto al contrabbando di grano e di sale, forse protetto dai feudatari di Montesegale. Era una banda ben armata ed organizzata che arrivò a tendere una imboscata al capitano Girolamo de Giorgi, l’ufficiale venne ucciso con tutti i suoi soldati. Le autorità spagnole inviarono un Capitano di Giustizia con l’ordine perentorio di punire i responsabili e di ristabilire l’ordine. La piaga del banditismo non venne però sanata: nel 1589 venne rapito il fratello dell’arciprete di S. Zaccaria, il nobile don Francesco de Ruino e per la sua liberazione la famiglia dovette pagare un forte riscatto. La presenza dei banditi aveva indotto, nel 1589, l’arciprete a trasferire la sua residenza da Monte Picco a Ponticelli. Il timore di un altro rapimento era tale che don Francesco si rifiutava persino di fermarsi a S. Zaccaria per celebrare la S. Messa nella pieve a lui assegnata. Vi mandava suo nipote, don Bartolomeo, che a detta dei fedeli non sapeva officiare, non diceva mai messa nei giorni feriali e qualche volta neppure nei giorni festivi.

Il Castello di Montesegale, fine ‘800
Pieve romanica di San Zaccaria (sec. XI) nel 1936
Ponticelli cortile interno

Sul finire del XVI secolo le condizioni meteorologiche furono avverse e contribuirono a peggiorare la situazione, già critica, nelle nostre campagne. Il 1595 fu un anno particolarmente piovoso: in nove mesi su dodici caddero abbondanti piogge che causarono allagamenti nelle zone vicine ai grossi corsi d’acqua e frane in quelle collinari, compromettendo in larga misura i raccolti. Invece l’anno successivo si ebbe una grave siccità che provocò una drastica riduzione dei raccolti ed un periodo di carestia. I contadini, ridotti alla fame, si trasformarono in vagabondi oppure andarono ad ingrossare le bande di briganti che infestavano le valli Staffora, Ardivestra e Coppa.

Il timore di aggressioni era grande ed era prassi normale girare armati. Il parroco di Sant’Eusebio in una relazione del 1607 lamenta il fatto che i suoi parrocchiani si recassero armati anche alle funzioni religiose. Secondo il documento gli abitanti del luogo erano soliti riunirsi nel cimitero attiguo alla chiesa prima e dopo la messa festiva per discutere, talvolta facendo ricorso alle armi, di “negozi e traffichi seculari””.

La giustizia spagnola era formalmente molto severa, ma le pene venivano però troppo spesso applicate in misura diversa a seconda della condizione sociale dell’imputato. Numerose erano le gride contro bravi, banditi e malfattori, ed il fatto stesso che si continuasse a replicarle è un sintomo evidente della loro inefficacia. Nell’anno 1600 era stata emessa una grida, ovvero una disposizione di polizia, che dava la facoltà alla forza pubblica di arrestare chiunque fosse stato indicato come bravo da almeno due persone, la reputazione di bravo era già di per sé una imputazione. Disposizioni analoghe vennero emesse nel 1632 e nel 1645 non si sa per altro con quale effetto pratico. Il 6 maggio 1644, un lunedì, venne ucciso nei pressi di Fortunago un certo Tela di Varzi, che si recava al mercato nel capoluogo. Doveva trattarsi di un mercato stagionale o di una fiera annuale in quanto non si sono trovate notizie che documentino l’esistenza di un mercato settimanale che, secondo alcuni storici, si svolgeva il lunedì a Fortunago. Sembra che a sparare le archibugiate mortali contro la vittima fossero state alcune persone del capoluogo; tuttavia il podestà o per negligenza, dal momento che la vittima era un forestiero, o per complicità lasciò correre la cosa. Passarono più di venti anni e nel 1655 il figlio dell’ucciso si rivolse direttamente al presidente del Magistrato Giudiziario di Milano per ottenere giustizia. Questi promosse un’inchiesta che finì nel nulla in quanto non furono più trovati i precedenti atti giudiziari e neppure persone disposte a testimoniare. Nello stesso periodo alcuni bravi al servizio del marchese Malaspina di Fortunago uccisero un uomo a Staghiglione. L’omicidio avvenne sulla via pubblica davanti a numerosi testimoni, ma anche in questo caso l’inchiesta andò per le lunghe e alla fine si arrivò ad una sorta di tacito condono per gli assassini.

Nella seconda metà del Seicento le condizioni di vita e l’amministrazione della giustizia non cambiarono nell’Oltrepò, poiché i governatori di origine spagnola avevano come scopo principale quello di arricchire le proprie finanze e quelle reali. Le tasse ed i balzelli rimasero onerosi. In quel periodo le valli Coppa e Staffora erano luoghi pericolosi per la presenza di sicari e ladroni “che ogni giorno commettevano nuovi ed atroci delitti” come riportato in una lettera inviata, il 14 dicembre 1661, al senato di Milano dai marchesi Malaspina, feudatari di Godiasco, Pozzol Groppo e Fortunago.

Luigi Elefanti

La valle di Borgoratto

Vista da S.M. di Primorago

Sant’Eusebio superiore