La Resistenza a Fortunago, e la battaglia di Costa Pelata

Nel mese di giugno del 1944 i partigiani riuscirono a disarmare il presidio di avvistamento che la Guardia nazionale repubblicana aveva posto a Fortunago. Con questa azione essi si impadronirono di un discreto quantitativo di armi sottratte ai militi fascisti.

Verso la metà di agosto del ‘44 il territorio compreso tra Pometo, Ruino, Torre degli Alberi, e Fortunago era controllato dai partigiani inquadrati nella prima brigata Matteotti. Il coordinatore del C.L.N. vogherese Luigi Gandini era sfollato a Fortunago, insieme al dottor Angelo Nassano, preziosa figura di medico che, al bisogno, poteva soccorrere i partigiani feriti.

Le considerazioni seguenti, di Vittorino Dabusti, ben si adattano a descrivere lo stato d’animo dei giovani della nostra zona “Le motivazioni che indussero molti giovani a rifiutare l’arruolamento vanno ricercate anche nell’andamento della guerre tra i nazisti e le forze alleate; una guerre ormai rifiutata dal popolo, rinunciata dal Governo Badoglio, subita da Mussolini che ormai non era più in grado di decidere.

Nell’Oltrepò furono poi le rappresaglie nazifasciste, i rastrellamenti, che, rendendo sempre più precari e insicuri i nascondigli dei renitenti (spesso localizzati nelle vicinanze delle proprie abitazioni), spinsero molti di essi a valutare più sensata e sicura l’aggregazione ai gruppi armati partigiani e ciò prima ancora di aver raggiunto una vera e propria maturità politica “.

Nel nostro comune le prime formazioni della Resistenza, i distaccamenti, si costituirono verso la metà di settembre. Nel mese di agosto, infatti, la zona di Varzi fu interessata da numerosi rastrellamenti dei nazifascisti ed i partigiani che vi si trovavano furono costretti a ripiegare, spostandosi nella zona della bassa collina. Nel territorio comunale si stabilirono quattro formazioni, la prima nel capoluogo e le altre dislocate a Costa Cavalieri, a Gravanago, e a Ponticelli. Questi distaccamenti erano composti da una dozzina di renitenti alla leva del comune, e da giovani di Valverde, Casteggio, e Pavia, già appartenenti alla brigata Matteotti. Le formazioni erano inquadrate nella Brigata Casotti al comando del conte Luchino Dal Verme, nome di battaglia “Maino”, il comando era a Torre degli Alberi, ove risiedeva il conte. I partigiani provenienti dalla Brigata Matteotti che si stabilirono a Fortunago avevano in dotazione un camioncino Fiat 1100 ed una Fiat 500 Topolino, mezzi che erano utilizzati per gli spostamenti rapidi. Gli uomini che presidiavano il capoluogo si erano accampati nella sede municipale. Il municipio costituiva il luogo ideale perché permetteva loro di mangiare e dormire al coperto senza esporre a rappresaglie gli abitanti del posto. Alcune donne del paese, a turno, andavano a cucinare per i partigiani. I distaccamenti erano stati dislocati in chiave difensiva: Fortunago costituiva un ottimo punto di osservazione, una vedetta posta nella parte alta del paese era in grado di avvistare per tempo una colonna di nemici in avvicinamento e di dare l’allarme. Vi era, inoltre, una rete di fiancheggiatori abitanti nei paesi limitrofi. Si trattava di persone anziane che abitavano nei paesi più a valle a che davano l’allarme quando si avvicinavano truppe nemiche. La popolazione era solidale con i partigiani e questo costituiva per loro motivo di sicurezza.

Oltre a presidiare il paese i militi del distaccamento di Fortunago conducevano azioni di guerriglia contro i fascisti. Essi Si recavano, di notte, sulla via Emilia, nelle vicinanze della chiesa di Genestrello, per bloccare i trasporti della Repubblica di Salò che transitavano senza la scorta militare. La via Emilia era percorsa da questi convogli solo di notte perché di giorno l’aviazione alleata attaccava qualunque autoveicolo in movimento. Queste imboscate procuravano viveri, armi, munizioni ed anche ostaggi. Questi ultimi erano portati al comando di Torre degli Alberi per essere poi scambiati con dei partigiani prigionieri dei tedeschi o dei repubblichini.

Le armi leggere, le munizioni, ed i viveri, catturati durante le azioni di guerriglia, erano trattenuti dagli uomini del distaccamento; le armi pesanti e gli automezzi eventualmente sequestrati venivano portati al comando di Torre degli Alberi. Si cercava inoltre di convincere i militari italiani eventualmente catturati ad aderire alla lotta partigiana. Se rifiutavano venivano rilasciati dopo essere stati disarmati. Le camicie nere ed i militari tedeschi erano, invece, trattenuti, ed inviati al comando di Torre degli Alberi, in vista di uno scambio di prigionieri. Con i tedeschi le trattative erano più agevoli, maggiori difficoltà si incontravano nelle trattative con la Brigata Nera, la Sicherheits, che aveva fama di non tenere fede ai patti. Per questo motivo e per i soprusi perpetrati ai danni della popolazione, vi era diffidenza e anche odio.

In un agguato, condotto insieme ad altri distaccamenti, i partigiani fortunaghesi fermarono una colonna di repubblichini formata da 200 militari italiani comandati da ufficiali tedeschi. Si trattava di uomini inviati in Germania per l’addestramento, e poi rimandati in Italia, inquadrati in unità comandate da ufficiali tedeschi. Si voleva catturare gli ufficiali tedeschi e convincere gli italiani ad aderire alla lotta partigiana. Le cose andarono diversamente: si arrivò allo scontro a fuoco ed i militi italiani si dispersero.

Sempre in una imboscata lungo la via Emilia venne preso in ostaggio il prefetto di Pavia, che fu in seguito liberato in cambio della scarcerazione di un gruppo di prigionieri politici detenuti nelle carceri di Pavia. In una azione condotta sulla via Emilia fu sequestrato ai fascisti un camion Alfetta che fu messo a disposizione del comando di Torre degli Alberi.

Molte sono state le azioni condotte dai partigiani distaccati nel nostro comune. Una particolarmente audace si svolse a Pontecurone ove arrivarono con la camionetta il giorno della festa del paese travestiti da fascisti. Grazie a questo stratagemma riuscirono ad arrestare un buon numero di appartenenti alla Brigata Nera che furono inviati, come di consueto, al comando di Torre degli Alberi. In un’altra azione vennero catturati dei giovani militari che erano stati arruolati e sommariamente addestrati. Dopo aver provveduto al loro disarmo furono rilasciati.

La mattina del 23 novembre i nazifascisti cominciarono i rastrellamenti su vasta scala, impiegando ben 15.000 uomini. Fortunatamente nel nostro comune non si verificarono quegli episodi di violenza gratuita che caratterizzarono l’avanzata dei repubblichini in alcune zone oltrepadane.

Particolarmente temuti dalla popolazione delle nostre colline erano i cosiddetti “mongoli”: uomini originari della Russia asiatica. Si trattava per lo più di ex prigionieri di guerra del fronte russo arruolati nell’esercito tedesco. Per aumentarne lo spirito combattivo e l’aggressività i comandanti avevano promesso loro piena libertà di azione in caso di vittoria. Nell’alto Oltrepò il loro nome, unito al racconto della loro crudeltà, incuteva terrore alla gente. Al rastrellamento parteciparono anche uomini della Brigata Nera, nonché militari italiani inquadrati nella Divisione Monterosa e nella X flottiglia MAS.

Lo scopo di questa azione era quello di circondare i partigiani delle diverse unità creando delle “sacche” che avrebbero facilitato la cattura dei ribelli. La tattica dei partigiani era, invece, quella di arretrare sotto l’incalzare dell’offensiva nemica, e attraversare le linee nemiche durante la notte, per ritornare, se possibile, nelle precedenti posizioni assegnate al distaccamento. Come rifugio e nascondiglio in questi spostamenti i partigiani si servivano di cascine o casolari abbandonati, giovandosi dell’aiuto della popolazione locale che, a prezzo di rischi gravissimi, offriva loro ospitalità e cibo. Le case di coloro che offrivano riparo ai resistenti erano, infatti, bruciate, con le conseguenze che si possono immaginare in momenti in cui a malapena si aveva di che vivere. Circa venti giovani in età di leva del comune di Fortunago non si erano presentati ai bandi di coscrizione fascista. Durante le incursioni dei repubblichini essi si nascondevano in ogni sorta di rifugi preparati allo scopo. Alcuni si rifugiavano nelle grotte naturali presenti nel territorio comunale. Alcune famiglie avevano preparato nascondigli nei sottotetti o in pareti doppie ricavate nei pollai. Nel capoluogo uno dei rifugi più utilizzati era il sottotetto della navata centrale della chiesa, cui si accedeva attraverso una piccola aperture praticata nel muro del campanile.

Il prolungarsi dei rastrellamenti, i rigori del clima (nell’inverno ‘44 si raggiunse la temperatura minima, mai registrata fino ad allora, di -18,6 °C), e la necessità di non esporre la popolazione locale a rischi inutili, rendevano sempre più difficile la permanenza nel territorio collinare dei partigiani provenienti dalla pianura. La situazione, per loro, si faceva sempre più difficile. In questo frangente vi fu chi decise di attraversare le linee nemiche e di ritornare in città presso la propria famiglia. Un certo numero di resistenti erano rimasti a Fortunago, ed avevano trovato rifugio nella cascina di Montebelletto. Essi cercavano di evitare i contatti con la popolazione locale per non esporre i fortunaghesi alle rappresaglie dei fascisti. Durante uno dei rastrellamenti il casolare ove dormivano i partigiani fu circondato, ma essi riuscirono a fuggire sfruttando il favore delle tenebre.

Alla fine del ’44 Domenico Mezzadra: “Americano” comandante della divisione Aliotta (da cui dipendeva la brigata Casotti), stava riorganizzando la resistenza nella nostra zona, e stabilì la propria base operativa dapprima a Cappelletta e poi a Fornace di S. Eusebio, vicino a Ponticelli. Il 31 gennaio 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Oltrepo’ trasferì definitivamente la sua sede da Voghera a Fortunago. A Voghera una rete di collaboratori raccoglieva le notizie riguardanti i movimenti delle truppe nazifasciste. Una staffetta si incaricava, poi, di portare le informazioni a Fortunago a Luigi Gandini presidente del C.L.N.

La battaglia di Costa Pelata

Nel comune di Fortunago, e precisamente in località Costa Pelata, nel 1945 si è svolto uno scontro armato che ha segnato una svolta nella lotta fra partigiani e fascisti.

All’inizio del mese di febbraio si ebbe una ripresa dell’attività delle forze di liberazione. Molti uomini che, a seguito del rastrellamento invernale, si erano sbandati ritornarono ai loro distaccamenti. Ai primi di marzo i nazifascisti, sotto la pressione della Resistenza, dovettero sgomberare numerosi presidi nella zona collinare oltrepadana. I territori di Zavattarello e Torre degli Alberi furono, quindi, nuovamente occupati dalle forze partigiane. Si riorganizzò la brigata Casotti, al comando del conte Luchino Dal Verme. Essa fu inquadrata nella divisione Aliotta, e la sua zona di operazioni comprendeva il territorio di Fortunago e di Torre degli Alberi, ove era il comando di brigata. Il comando di divisione era, invece, a Casa d’Agosto.

L’11 marzo il comando tedesco decise di passare al contrattacco per sottrarre la zona collinare e montuosa ai ribelli. L’attacco si svolse su tre direttrici e fu condotto da circa 1000 uomini, fra cui mongoli, calmucchi, militi della Wehrmact, della Sicherheits, della Brigata Nera, e della GNR. I punti di partenza dei rastrellatori erano: Broni con direzione di marcia nella Valle Scuropasso; Varzi con direzione Pietra Gavina; e Godiasco.

I militari, che erano partiti da quest’ultima località, salirono lungo la Valle Ardivestra senza incontrare resistenza. I resistenti del distaccamento di Fortunago, colti di sorpresa, non riuscirono, infatti, a contrastare la loro avanzata. Il loro comandante, “Mario”, era stato ferito in un precedente scontro ed era stato costretto a nascondersi in una grotta, il cui ingresso era stato nascosto da rami e sterpaglie. All’avanzare dei tedeschi i partigiani dovettero, quindi, abbandonare la posizione e si sbandarono.

Solo nel tardo pomeriggio, arrivati nei pressi di Torre degli Alberi, i nazifascisti si arrestarono, forse perché fatti oggetto di colpi di mortaio, e decisero di ritornare verso Costa Galeazzi. Le vedette partigiane, nascoste nel piccolo bosco a Nord di Scagni sorvegliavano la loro marcia. Giunti a Costa Galeazzi i militari, circa 200 uomini, si accamparono nella scuola elementare. La sera festeggiarono la rapida avanzata con canti e balli, sempre sotto l’occhio vigile delle vedette partigiane che si erano avvicinate, approfittando del buio, per valutare meglio la consistenza delle forze nemiche.

Nella notte i partigiani si riorganizzarono e, all’alba, si attestarono nel boschetto a Nord di Scagni, in una posizione facilmente difendibile; decisi a dare battaglia quando i repubblichini avrebbero ripreso il loro rastrellamento. Luchino Dal Verme, comandante di Brigata, era stato ferito nei giorni precedenti e, pur organizzando la resistenza a Costa Pelata, non poté partecipare attivamente alla battaglia. Il conte, colpito da una fucilata alla testa, era stato portato nell’osteria di Costa Galeazzi e qui medicato dal dottor Angelo Nassano, figura cara ai fortunaghesi per le sue doti umane e professionali.

Al mattino i fascisti ripresero la marcia ma furono fatti oggetto di colpi di arma da fuoco dai militi nascosti nel boschetto. Si attestarono, quindi, sulla altura denominata Costa Pelata aspettando rinforzi. In aiuto ai restrellatori arrivò una colonna di Brigate Nere proveniente dalla Val di Nizza. Nei pressi di Polinago essa venne attaccata dal distaccamento Bixio della Casotti. I partigiani ebbero, però, la peggio; ed il loro comandante Luigi Migliarini “Vento” fu catturato e ucciso.

In soccorso dei partigiani giunsero, tra gli altri, gli uomini della Brigata Togni a bordo di una autocorriera armata con una mitragliatrice che era stata catturata a Fiorentini alcuni giorni prima. Il loro intervento non fu efficace, il mezzo fu subito bersagliato dalle raffiche dei repubblichini. Inoltre la mitraglia di cui era dotato era montata all’interno del veicolo e, sparando, produceva fumo che ben presto saturò l’abitacolo, soffocando gli occupanti che dovettero abbandonare la corriera in tutta fretta. La ritirata si rivelò difficoltosa sotto il fuoco nemico, ed alcuni resistenti dovettero uscire dal bosco per dare loro man forte. L’arrivo di una colonna al comando di Italo Molinari si rivelò, invece, provvidenziale. Questi militi disponevano di “panzefaust” tolti ai tedeschi alcuni giorni prima. Un artigliere austriaco, nome di battaglia “Otto”, arruolato nei partigiani, sapeva sparare con precisione e fece diverse vittime tra i nazifascisti. Nel tardo pomeriggio la situazione era di stallo, i rastrellatori si resero conto dell’impossibilità di proseguire. La scarsità di munizioni, la mancanza di rifornimenti, e la consapevolezza di trovarsi in una posizione esposta al pericolo di agguati al calar delle tenebre, consigliavano prudenza. Raccolte la armi i nazifascisti si portarono dapprima a Costa Galeazzi, al riparo delle abitazioni, per poi avviarsi, al calar della sera, verso Godiasco.

La scelta del comandante Maino di accettare battaglia fu criticata, perché non conforme alla logica della guerriglia. Essa, tuttavia, si rivelò vincente. I partigiani dimostrarono, così, di essere padroni del territorio, e di poter fermare le incursioni dei repubblichini.

La battaglia di Costa Pelata costituì un momento importante nella lotta di liberazione: i nazifascisti, sconfitti, dopo pochi giorni evacuarono gli ultimi avamposti nella zona collinare ancora nelle loro mani: quello di Varzi (17 marzo) e quello di S. Maria della Versa (19 marzo). Tutta la zona collinare oltrepadana passò quindi definitivamente sotto il controllo della Resistenza. Gli uomini della Casotti parteciparono, in seguito, alla conquista di Casteggio (26 aprile), avviandosi il giorno successivo verso Milano.

Luigi Elefanti

Bibliografia:

AAVV Fortunago, Storia di un borgo oltre il Po, Fortunago 2007

Giulio Guderzo, L’altra guerra, Il mulino 2002